Mansio - Residence Agriturismo
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Storia del mulino 

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Il residence “Mansio”, costeggia per tutta la sua lunghezza il canale del ‘martinetto’ appartenente alla rete dei canali irrigui del vasto comprensorio agricolo circostante.
In origine disposto su due piani, l'antico edificio costituiva la dimora nonché laboratorio del fabbro dell’epoca, ovvero colui che batteva
il ferro ed il rame nella zona.
La particolare collocazione dell’edificio consentiva di sfruttar il salto d’acqua esistente per azionare una ruota di legno.
La forza idraulica si trasformava in meccanica e veniva trasmessa ad
​un eccentrico, la cui vibrazione consentiva la forgiatura dei metalli incandescenti.

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Oltre alle poche testimonianze tramandate verbalmente dai più anziani del paese e dai precedenti proprietari, si presume avvenisse anche la macina dei cereali per ottenere farine ed altri derivati, dall’attrezzatura specifica rinvenuta nel tempo. Non è stato possibile risalire ad altre eventuali destinazioni dell’antico mulino, divenuto in epoche più recenti luogo di sosta e rifugio per i cacciatori durante il periodo autunnale ed invernale. Secondo la bibliografia il significato originario della parola “Mansio” è “azienda agricola monastica isolata nei campi”, come si definiva la "cassina San Michele", oltre ad altri significati, come in età imperiale, in cui rappresentava una stazione di sosta lungo una strada romana, gestita dal governo centrale e messa a disposizione di dignitari, ufficiali, o di chi viaggiasse per ragioni di stato.


Storia della Cassina San Michele

Il residence Mansio fa parte della tenuta San Michele, di grande rilevanza storico-architettonica risalente al tardo medioevo. La ten San Michele è costituita da una  tipica corte piemontese a quadrilatero aperto, con due lati dedicati alle dimore dei residenti, due ampie aiuole all’interno ed un parco storico adiacente all’abitazione dei proprietari, la fam. Mignone composta da Giovanni, Antonietta, Francesco e Federico.
Secondo gli atti relativi alle spese sostenute per l’acquisizione dei fabbricati rurali, “correndo l’anno 1566, al 9 maggio, si cominciò a fare acquisto della campagna e dei terreni ove si intendevasi innalzare un grandioso e magnifico convento (Santa Croce); e successivamente d’altri beni e possedimenti pel mantenimento d’una famiglia di cento monaci”. Così recitava intorno alla metà dell’Ottocento uno storico locale ricordando come il complesso monumentale di Santa Croce, sito all’ingresso del paese di Bosco Marengo, costituisse il polo di qualificazione urbana ed ideologica del territorio boschese ed allo stesso tempo centro gestionale di una vasta possessione fondiaria. Il complesso monumentale di Santa Croce, ex convento domenicano, costruito per volontà di Papa San Pio V, nel tardo '500, rappresenta un unicum nel panorama artistico architettonico piemontese, comprendente la chiesa ed il convento domenicano, dove conversero studi e lavori di grandi artisti dell’epoca come Giorgio Vasari.
Si trattava di un’impresa di vasto respiro che seguiva una gestione precisa, attenta non solo agli aspetti più propriamente devozionali, ma dettata anche da precise finalità economiche, rivolte a garantire l’autonomia e la sopravvivenza nel tempo della pia istituzione. A tale scopo, dal 1566, anno dell’ascesa al soglio pontificio di Michele Ghislieri, Papa Pio V, originario di Bosco Marengo, vennero acquistate dalla chiesa svariate proprietà agricole, distribuite nel comune di Bosco Marengo e territori limitrofi. Il vasto patrimonio fondiario costituito in prevalenza da terreni arativi e prativi, per la maggior parte irrigui e di notevole fertilità, ed in percentuale minore di pascoli e vigneti, era già dotato delle opere idrauliche indispensabili all’adacquamento dei terreni e al movimento dei meccanismi per la macinazione dei cereali.
Gli interessi del pontefice furono rivolti all’acquisizione di alcune importanti aziende agricole che si erano strutturate nel passato, sulla base di oculate scelte di accorpamento e di gestione della proprietà fondiaria.
La Cassina San Michele, acquisita il 26 marzo 1566 per volontà di Papa Pio V, rappresentava all’epoca una delle più importanti unità aziendali del convento, la cui esistenza viene testimoniata per lo meno fino al tardo medioevo, risalente circa al XII secolo secondo la storiografia locale, voluta o acquisita dall’ordine dei Cistercensi di Tiglieto, come primi residenti e proprietari, come ribadito nei documenti del XII-XIII sec. concernenti il celebre monastero di “Civitatula o del Tiglieto” in Liguria.
L’ edificazione della Cassina San Michele  si inserisce nel vasto fenomeno di valorizzazione e sfruttamento della terra che si accompagna alla proliferazione dell’insediamento sparso. A tal proposito viene riportato negli scritture del epoca come l’azione dei Cistercensi di Tiglieto  avesse contribuito a sviluppare l’allevamento del bestiame, oltre alla coltivazione delle terre, come attestano anche gli statuti intorno alla metà del Trecento.
Il decisivo orientamento dell’organizzazione aziendale verso l’attività di allevamento, anche dopo l’acquisizione da parte di  Papa Pio V, viene confermato dall’aumento delle vaccine da latte, che fornivano una ragguardevole produzione di burro, ricotta e formaggi.
All’inizio del Seicento, la possessione di San Michele era organizzata come una grande azienda agricola, che produceva beni di prima necessità anche per il mantenimento dei braccianti agricoli e delle loro famiglie, che occupavano un nucleo insediativo a loro dedicato, secondo un impianto congruente alle diverse destinazioni funzionali dei fabbricati attestati lungo il perimetro del cortile, e come da allora permane.
La forma architettonica dei fabbricati è oggi frutto degli ampliamenti realizzati in tempi diversi, tuttavia un primo nucleo edilizio era sorto al centro del lato occidentale della corte con ingresso sul fronte orientale. L’edificio conserva al piano terreno una copertura a padiglione con lunette che rispecchia i modelli costruttivi della coeva edilizia abitativa urbana.
La destinazione degli edifici fu in seguito modificata, con la formazione degli ambienti abitativi sul lato nord, in cui si può visitare ed apprezzare alcuni saloni d’epoca dai pavimenti antichi ed i soffitti affrescati in tempi più recenti, circa inizio Novecento.
La fisionomia insediativa di queste strutture è riprodotta dalle mappe catastali del 1761 e del periodo francese; a partire dal 1870, anno in cui venne emanata la legge Siccardi, la proprietà della Tenuta San Michele passava dal clero ai nobili del tempo, precisamente la famiglia Chiozza Frova.
Dopo aver acquisito i terreni ed i fabbricati nel 1966, la famiglia Mignone si occupa principalmente della conduzione dell’azienda agricola ad indirizzo cerealicolo, me nell’ultimo decennio ha concentrato i propri sforzi nel ristrutturare e valorizzare la cassina San Michele negli ambienti di maggior pregio, conservando e recuperando il significato storico degli affreschi, delle pavimentazioni e delle opere architettoniche presenti.
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